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Le tavole-specchio

    Ovvero sulla Ricerca di Sé: Uno Specchio tra Natura e Cultura.

    L’esistenza umana è intessuta in una dualità fondamentale: la “corporeità immanente” (la nostra eredità biologica) e la “corporeità culturale” (l’interazione con il mondo, il linguaggio, gli artefatti). In questa intersezione tra ciò che siamo per natura e ciò che costruiamo attraverso la cultura si genera il frutto della nostra ricerca di sé.

    In questo contesto, strumenti di “rispecchiamento” o “tavole specchio” emergono come metafore potenti per l’indagine filosofica dell’identità. Non sono oggetti passivi, ma dispositivi attivi che ci spingono verso una “natura fungibile della coscienza di sé”. Dove l’adattamento sembra bloccato, esse sondano il “plausibile necessario nell’ipotetico”, permettendo di plasmare e dilatare la coscienza di sé lungo percorsi di “connessioni proattive”.

    Il Divenire e la Tela Narrativa

    Il concetto di identità non è statico, ma una “scaturigine del senso di sé”, un processo continuo di “divenire”. Attraverso la percezione di un “possibile”, di un “oltre-confine del sé”, fioriscono trame che modulano il nostro “esserci qui ed ora lungo il dipanarsi di una narrazione”.

    Il metodo filosofico, in questo senso, non cerca una verità imposta, ma l’autenticità. Carl Rogers, ad esempio, pur proveniente dall’ambito psicologico, offre un’intuizione profondamente filosofica: la “vita piena” non è uno stato o un ideale da raggiungere, ma un processo dinamico e continuo. Egli crede in una “tendenza attualizzante” innata che spinge ogni essere umano verso la crescita e la realizzazione, una forza fondamentale positiva.

    Questo “divenire” richiede “libertà interiore”. Rogers ci esorta ad “essere ciò che si è, profondamente e consapevolmente”, valorizzando l’esperienza soggettiva come la nostra “autorità più prossima”. La sua visione si traduce nell’accettazione della realtà – interna ed esterna – come primo passo verso la trasformazione autentica.

    Lo Sguardo sulle Crepe dell’Essere (I Nodi Cardine)

    Se l’identità è una tela in continua tessitura, ci sono momenti di “discontinuità” e “scheggiature”. Le “tavole specchio” utilizzano i “nodi cardine” come metafore delle memorie dei traumi o delle rotture, ovvero le fenditure (“crepe”) che minacciano la “solidità” della nostra struttura interiore o delle nostre relazioni.

    Questi “tagli” nel piano visivo non sono solo ferite, ma “nuove coordinate” che esprimono una “tendenza all’accomodamento attivo”. La nostra crescita non nega il dolore, ma lo usa. Come sosteneva Anna Freud, lo sviluppo psichico prevede “regressioni e meccanismi di difesa” che possono essere transitori e funzionali all’adattamento, se sostenuti da un ambiente esterno accogliente.

    Il metodo di conoscenza filosofica, pertanto, si focalizza sull’“ascolto attento, sensibile, ponderato” dei “discontinuo”. Le fatiche e le prove della vita, come ricorda Françoise Dolto, sono costanti e spesso dolorose, ma affrontarle con l’ausilio della riflessione (il rispecchiamento) e dell’accettazione, ci permette di cogliere “effetti sensoriali che precedono un disegno rivelatore”.

    Il Metodo della Rivelazione Inattesa (Vero, Falso, Altro)

    Per sviluppare una mappa della nostra identità in divenire, bisogna abbracciare l’incertezza.

    Un approccio metodologico efficace, non medico ma universale, deve accogliere l’idea che “non esistono risposte assolute” e che “abitare l’incertezza diventa parte del vivere autentico”.

    Il concetto di “Vero, falso, altro” contenuto nelle riflessioni sulle “tavole specchio” riflette questo approccio dinamico alla realtà:

    1. Eccedenza Inclusiva: Si riconosce che lo stesso enunciato può essere “legittimante vero e legittimante falso allo stesso tempo”. Questa “eccedenza ricavata” annulla le distanze artificiali che impediscono alle “tensioni potenzialmente ricche di possibilità di interagire” di incontrarsi.

    2. Narrazione Transformativa: Questo approccio si basa sulla scelta di una strategia per rappresentare una narrazione secondo un codice “figurativo/simbolico/concettuale”. Si tratta di trasformare l’esperienza soggettiva in una mappa aperta che è flessibile e che muta a seconda dell’esperienza esclusiva di ognuno.

    3. Il Potere della Parola e della Scrittura: La narrazione (il racconto, la parola) e la scrittura stessa diventano strumenti essenziali del metodo. Come nel concetto di “Terapia allo specchio”, la scrittura è un atto “profondamente relazionale” che permette di dire la verità in un modo precluso alla comunicazione verbale, trasformando l’immagine di sé frammentata in una narrazione più strutturata e riflessiva.

    Questo metodo universale di sviluppo e conoscenza si fonda sul disvelamento della singolarità (la nostra “differenza assoluta”), al di là dell’omologazione o del “pensiero logico/rappresentativo/procedurale del giorno”. Si tratta di cogliere, attraverso il rispecchiamento, la propria voce e di assumere la “libertà di accrescere la propria libertà interiore”, trasformando le difficoltà e i fallimenti in un continuo “processo di trasformazione”.

    In definitiva, l’elemento delle “tavole specchio” allineabile a un approccio filosofico è la natura auto-riflessiva e proattiva della coscienza che, attraverso l’onesta indagine della dualità tra il dato biologico e la costruzione culturale, mira a “trovare il vero sé”, accettando che la vita è un “flusso ininterrotto” e che la ricerca di sé non è una meta, ma il cammino stesso.

    Connessioni proattive

    Questa ricerca di connessioni proattive è motivata dal fatto che la titolarità di una coscienza di sé necessita di una natura fungibile: in altre parole, là dove non sembra sia possibile riplasmare all’occorrenza i temi definiti congrui e verosimili nella dualità in simbiosi, quella del corpo naturale e del corpo culturale, si dovrà sondare in altro modo la facoltà di un adattamento attraverso il tema del plausibile necessario nell’ipotetico.

    Per considerare come sviluppare un sistema di connessioni proattive è da porre l’attenzione nelle due nature interdipendenti: “la corporeità immanente” quale eredità biologica, la disponibilità di organi e di sensi, di attività dell’organismo, necessarie alla vita e “la corporeità culturale” determinata dall’interazione con il mondo, realizzata attraverso la creazione e l’uso di artefatti, di strumenti eso-somatici, dei quali il principale è il linguaggio. Il rapporto tra queste due condizioni genera un frutto, la ricerca di sé attraverso sempre nuove tecnicalità nel divenire.

    Così avviene che attraverso la pratica della tavola-specchio come anche quella degli altri strumenti (artefatti) messi a punto per definire il prototipo conservativo, sarà possibile plasmare e dilatare la coscienza di sé lungo i percorsi sviluppati dalle connessioni proattive.

    Nell’identità, scaturigine del senso di sé, attraverso la percezione di un possibile, di un’oltre-confine del sé, fioriscono trame di convergenze, distacchi, allineamenti, che tracciano modulazioni dell’”esserci” qui ed ora lungo il dipanarsi di una narrazione.

    Percezioni assunte come trame, che sostanziano un senso di sé, dove sembra emergere una propensione estensiva che viene colta nel suo farsi dal prototipo conservativo; la propensione all’espansione, attraverso nuove trame, nel possibile, ovunque esso si appalesi.

    Il narrato di un possibile, di un aleggiare tra lievi proposizioni intuitive, si origina nello spazio del confronto, là dove la dualità identitaria esprime nel corpo vitale e nel corpo culturale una relazione dinamica, un riconoscimento reciproco.

    I nodi cardine

    I nodi cardine potremmo considerarli oggetti che contengono tagli del piano visivo in un contesto immanente. Costituiti di vetro è attraversati dallo sguardo che contempla la spazialità diffusa della luce. Si attardano a nascondersi nel farsi del buio.

    Tavole specchio, nodi cardine
    Tavole specchio, nodi cardine
    Tavole specchio, nodi cardine
    Tavole specchio, nodi cardine
    Tavole specchio, nodi cardine

    Il passaggio palindromico

    Nell’attraversare il corpo trasparente, lo sguardo viene ispirato da un flebile suggerimento attraverso una inattesa direzionalità. Questa si palesa nel taglio nel piano volumetrico che, la luce materializza. Traccia, logica sottesa nel processo percettivo, converge e si condensa nei tagli presenti sul nodo cardine. Scheggiature della superfice, sono memorie del trauma che le ha generate, nuove coordinate, dichiarati intenti di spazialità offerti alla luce.

    Il nodo cardine ha quindi la proprietà di esprimere tagli nel piano visivo. Un tratto divisorio e affermativo che congela quel tra sempre presente. Quel tra anonimo ma implicito, sottinteso, prodromico. Un farsi tessitura della conseguenza, dove trama e ordito convergono, verso una comprensione.

    Quei tagli mostrano la presenza del piano visivo. Lo modellano, lo sottolineano, de danno conto.

    L’incognita, espressa dalla domanda, si abbandona ad una implicita inclinazione. La possibilità imprevista gli si contrappone. La volontà di risolvere la possibilità, nonostante la barriera continuamente comprime o e flette sull’apparente inflessibile tra, si avvicina faticosamente.

    I valori o nodi cardine, astrazione tipica della struttura, si formano lungo le trame e assumono coerenza e forza proprio perché legittimati dalla necessità, in un dialogo serrato con la domanda di chi vuole comprendere. I nodi cardine esprimono la loro tendenza all’accomodamento attivo nel percorso esperienziale con soluzioni restituite dai modelli emersi nelle tavole-specchio.

    Questi valori diventano salienti nel prototipo conservativo; sistema inteso come marcatore di identità, soprattutto quando gli si riconoscono caratteristiche di maggiore tangibilità, fedeltà e validità. Se il prototipo riesce nel suo compito di marcatore di identità, scatena uno stato di tensione all’interno dello scaglionamento riflessivo e assume il riverbero frazionato del rispecchiamento del sé come condizione evolutiva necessaria. intendere

    Un’identità distinta e sovraordinata può aiutare a risolvere le interazioni conflittuali. La tavola-specchio contribuisce a rivelare come i prototipi, in quanto marcatori di identità, possano sia inibire che facilitare il processo di innovazione dei piani multi-identitari. Alcune implicazioni teoriche e pratiche permettono il processo rigenerativo del portato identitario.

    Nella tavola specchio il nodo cardine o cristallo svolge la funzione di unità di collimazione, individua una visuale (linea di collimazione) congrua alla narrazione del possibile svelato.

    La linea visuale, intercettata dal nodo cardine, è una modalità eidetica che coglie e trattiene quegli effetti sensoriali che precedono un disegno rivelatore, ma anche impressioni di un possibile vissuto in forma nuova, progettuale, caratterizzata per una sua esclusività.

    Le viene assegnato una coordinata distinta da tutte le altre e rappresenta sempre e soltanto la sua posizione all’interno di un sistema di valori che emergono nel narrato interessato. Viene così utilizzata come mappa amplificatrice dei movimenti delle rappresentazioni corpo nella luce. Movimenti generati da flussi radianti emessi dall’osservatore che è anche esplorato e/o ricercato.

    Un valore di coordinata emerge rappresentato come riflesso nella visuale, sulla linea di collimazione, quando, nella variazione d’onda della luce incidente si distingue una conoscenza diretta, immediata, d’una relazione eidetica.

    Il riflesso speculare di ritorno, momento progressivo di disvelamento della trama, esprimerà come valore di coordinata un rapporto con il valore di coordinata percepito precedentemente (nesso).

    In conclusione, dopo che l’intensità del flusso radiante riflesso e l’intensità del flusso radiante incidente raggiungono un allineamento nella riflettanza, la tavola specchio offrirà una indicazione predittiva sulla narrazione del prototipo conservativo.

    Tavole specchio: volti
    Tavole specchio: volti
    Tavole specchio: volti
    Tavole specchio: volti
    Tavole specchio: volti
    Tavole specchio: volti

    Vero, falso, altro

    Giungere alla condizione secondo cui lo stesso enunciato può essere legittimante vero e legittimante falso allo stesso tempo sembra essere una concettualizzazione di una eccedenza ricavata ora divenuta più inclusiva e dinamica. Una eccedenza che si evolve espandendosi.

    Questo modello concettuale ridefinisce la nozione di possibile con una serie di valori controfattuali dove la verità dell’intero enunciato è indipendente dalla verità di ognuna delle proposizioni che lo compongono.

    Quindi la disposizione, l’intuizione, lo stimolo e la conseguente trama che da questi si evince, sviluppano una diversa possibilità rispetto alla prescritta necessità.

    Una nuova propensione capace di annullare quelle distanze artificiali che impediscono a tensioni potenzialmente ricche di possibilità di interagire.

    Forze tra loro estranee che, quando si incontrano, si rendono partecipi di una costruzione inaspettata.

    In questa operazione sta, soprattutto, la specificità diacronica nella con-figurazione dell’identità in divenire, aver scelto una strategia del vero/falso/altro per rappresentare una narrazione secondo il codice figurativo/simbolico/concettuale: attingendo dalla strategia ototopica, i fatti e la collocazione dei singoli artefatti, che si riesce a suggerire, a stimolare, a stabilire connessioni reattive negli ambiti narrativi.

    Applicando l’artefatto, che di volta in volta determina la strategia adottata, si tenta di ricavare emblematici personaggi – luogo di dimora – generatori di pensieri tanto più iconicamente essenziali quanto più costitutivi in divenire.

    Sviluppando poi una mappa ototopic-sensus sui, frutto delle trame e dei segni ricavati dall’applicazione dell’artefatto, si vogliono restituire possibili chiavi interpretative della realtà e punti di partenza per un percorso indipendente da ogni metafisica.

    mnemoniche, da distinguere dalle mappe psico-geografiche (o della poetica della deriva), dove si sollecita un’empatia nella comunità coinvolta e dove Il risultato di questa interazione è la costruzione di una nuova mappa aperta a un processo generativo di comunità che vuole costruire relazioni e connessioni.

    La mappa rivela una sua duttilità rappresentativa proprio nel suo conformarsi, infatti essa muta ogni volta che si rapporta all’esperienza esclusiva, propria di ognuno, e sarà tanto più iconicamente fertile quanto più esteriormente recherà simboli inerenti al genius loci.

    Applicazioni delle tavole-specchio

    Al vivo

    Tavole specchio: fuori
    Tavole specchio: fuori
    Tavole specchio: fuori
    Tavole specchio: fuori
    Tavole specchio: fuori

    Testuali

     
    Tavole specchio: dentro
    Tavole specchio: dentro
    Tavole specchio: dentro
    Tavole specchio: dentro

    Considerazioni sulle tavole-specchio

    In quanto dominio emergente della ricerca sui risvolti del Prototipo conservativo, le tavole-specchio generano nuove domande di ricerca, incluso il modo in cui le tavole-specchio vengono applicate in base a inquadrature e dettagli contestuali diversi. Considerando rischi percepiti, dovuti forse a una serie di incomprensioni sulla natura e sullo scopo del Prototipo conservativo, vengono esplorati i profili di rischio rispetto ai benefici che le specifiche posizioni sociali influenzano le persone che incontrano o percepiscono l’esperienza delle tavole-specchio. Le considerazioni a riguardo indicano che la vulnerabilità e gli atteggiamenti verso le tavole-specchio hanno influenzato in modo significativo la percezione del Prototipo conservativo come un’attiva elaborazione del modello, sempre personale, mai banale.

    Le analisi comparative di diversi esempi di applicazioni delle tavole-specchio hanno dimostrato una maggiore ambivalenza rispetto all’accettabilità. Le informazioni sui rischi rispetto ai benefici sono state fornite con le descrizioni delle applicazioni (descritte in semplici manuali rispetto alla categoria generale “Prototipo conservativo”, in assenza di informazioni sui rischi o sui benefici). L’accettabilità di queste rappresentazioni iconiche specifiche variava in modo significativo solo in alcuni casi, dati gli indici di vulnerabilità e gli atteggiamenti verso la ricerca ototpica in generale.

    Tuttavia, le analisi narrative sperimentali, utilizzando passaggi descrittivi più lunghi e completi, mostrano come le valutazioni dei rischi e dei benefici siano legate alle qualità psicometriche sistematicamente modulate dall’applicazione e quindi dalla pratica del “Prototipo conservativo”, la veicolazione del progetto e le implicazioni sociali ne condizionano la sua validità e controllabilità.

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